Monastero Sanctus Ignis, 03:00
Il silenzio era più compatto della neve fresca. Fratello Anselmo inspirò lentamente e profondamente. L’aria gelida di montagna gli bruciava nei polmoni, ma purificava la sua mente.
Il priore giaceva esanime, e il suo respiro era superficiale e irregolare. I rimedi tradizionali dei monaci avevano fallito. Solo il girasole invernale poteva salvarlo adesso. Una pianta che doveva il suo nome al fatto che fioriva solo nella notte più buia dell’inverno – e che emanava una luce propria.
Anselmo indossava una pesante tonaca marrone e solidi stivali di cuoio. Nella mano teneva una semplice lanterna, il cui olio era protetto da un leggero incantesimo.
«Sii vigile, fratello», aveva avvertito il monaco più anziano. «La foresta è ora dimora di creature che bramano la luce del fiore. Affrettati, ma non perdere la calma.»
Anselmo lasciò la pietrosa protezione del monastero. Camminava con cautela verso il margine del bosco. La neve sotto i suoi stivali scricchiolava silenziosa.
La foresta protetta dalla magia iniziava proprio nelle vicinanze del monastero. Gli alberi erano giganteschi, i rami carichi di ghiaccio e neve. L’aria si fece più densa, il silenzio più profondo.
Doveva trovare il «Calice di Ghiaccio». Un piccolo cratere dove il fiore prosperava da secoli.
Anselmo seguì un sentiero appena visibile, indicato solo da marchi magici: piccole macchie verdi sul muschio grigio degli alberi.
Un rumore improvviso lo strappò ai suoi pensieri. Un fruscio che non veniva dal vento. Qualcosa di grande che scivolava sulla neve.
Anselm alzò la lanterna più in alto. Vide una sagoma scura che si nascondeva dietro un abete rosso. Un metamorfo, che non aveva ancora trovato la sua forma definita – solo una massa oscillante di ombre e pelliccia.
La creatura era attratta dal profumo del fiore. Sentiva che il momento della fioritura era imminente.
Anselmo ricordò l’insegnamento: le creature magiche non temono la violenza, ma la calma assoluta.
Abbassò la lanterna e chiuse gli occhi. Si concentrò sul suono del proprio battito cardiaco. Cantava un piccolo canto meditativo dei monaci, una melodia sulla pazienza dell’inverno.
La sagoma rimase ferma. Il fruscio diminuì. La creatura comprese il linguaggio della purezza e dell’anima.
Quando Anselmo riaprì gli occhi, la sagoma era scomparsa. Rimaneva solo un vortice di neve fine.
Proseguì il cammino. Dopo altri dieci minuti raggiunse il bordo del cratere. Il Calice di Ghiaccio.
Al centro del cerchio di rocce e ghiaccio stava il fiore. Il girasole invernale.
Era piccolo, ma la sua luce era intensa. Ardeva di un intenso e caldo colore dorato, che illuminava l’intero cratere. Il profumo era dolce; odorava di miele e rugiada.
Anselmo si inginocchiò. Estrasse dalla tasca un piccolo coltello d’argento e tagliò il fiore con tanta cura, che non danneggiasse la radice.
Per il fiore splendente aveva portato una cassetta di legno imbottita. Lo depose dentro e chiuse il coperchio. Ma la luce trapelava attraverso il legno.
Il fiore era al sicuro e la sua missione compiuta. Il priore sarebbe stato salvato.
Anselmo si rimise in cammino verso il monastero. Non sentiva più il freddo, perché portava il calore dell’Avvento nelle mani.